Il chiasso di Cafaggio, l'Annunziata
e le suore di San Domenico (1345-47)
Nell’estate-autunno del 1345 gli ufficiali del Comune di Firenze, coadiuvati dai due maestri di lapidi e legnami, Neri di Fioravante e Stefano di Puccio, emanarono opportuna riformagione, ritenendo poco utile per la città un chiasso “seu terreno” a Cafaggio nelle parrocchie di San Michele Visdomini e di Santa Reparata. Di conseguenza lo dichiararono alienabile e, per far cassa, stabilirono di venderlo a chi avesse proposto la cifra più alta.
Non attesero molto. Ricevettero l’offerta da due istituzioni religiose che avevano fatto di Cafaggio la propria residenza: i frati di Santa Maria dei Servi (la SS. Annunziata) e le monache di San Domenico (del Maglio, oggi Caserma Redi in via Venezia).
Il loro interesse era evidente e legato ad un fine comprensibile: ampliare il proprio spazio vitale con terre su cui costruire edifici o da adibire a coltivazioni o altri usi.
Come si estendesse questo chiasso nella sua complessità non è dato saperlo dalle pergamene rimaste, essendo l’antico “Cafaggio” non più identificabile in dettaglio a causa della zona molto urbanizzata. Pensiamo che, vista la sua originale natura di via o meglio di viuzza, si trattasse di un appezzamento stretto e lungo e che andasse da sud a nord, passasse dietro a San Marco e unisse le “chiuse” dei due enti religiosi che anche oggi risultano abbastanza distanti tra loro.
La parte più vicina alle mura della città, nel popolo di San Michele Visdomini, fu comprata dai Servi di Maria. Era detta “ex latere sinistro ecclesie” e aveva come confini: a primo la chiesa, a secondo la “platea que est coram dicte ecclesie”, a terzo i beni della famiglia Spini e a quarto la via “infra” i detti confini.
L’acquisto risultò però essere una faccenda lunga per i frati che avevano costituito un loro procuratore in frate Bartolo di Roggerio Adimari perché lo portasse a termine e pagasse 32 fiorini d’oro a Giorgio di Stagio da Torricchio, camarlingo del Comune.
Di questa terra infatti fu preso dal convento il possesso, per motivi che non sappiamo, solo nel 1347 quando il “religiosus et honestus frater fr. Paulus Gucci Filippi ..., per se et vice et nomine et locum tenens reverendi fratris fratris Andree de Burgo Sancti Sepulcri prioris”, che doveva essere assente, adunò due parti e oltre del capitolo per ratificare la decisione.
Testimoniarono ser Francesco di ser Donato da Empoli notaio e Cione di Fede familiare e servitore dei frati.
I religiosi convocati furono 29 i cui nomi sono riportati nell’atto: Rodolfo di Ugolino, Girolamo da Siena lettore (professore nello Studio conventuale), Matteo da Lucca, Andrea di Guido, Filippo di Dino, Alessandro di Meo, Iacobo di Sinibaldo, Girolamo di Cambio, Agostino dal Mugello, Giovanni di Guccio del Massaio, Lorenzo di Dono, Domenico di Zuccaro, Niccolò da Prato, Silvestro di Ruggeri, Pietro da Pisa, Francesco di Barduccio, Bartolomeo di ser Francesco, Francesco Piero, Biagio, Andrea di Niccolò, Filippo da Lucca, Francesco di Iannino, Giovanni dal Mugello, Simone da Montegiovi, Filippo di Bertino, Francesco da Siena, Giovanni da Montepulciano, Prospero e Niccolaio di Giovanni.
Avuto il consenso del capitolo, il convento prese possesso del chiasso. Rogò il notaio ser Andrea di Tommaso di Arrigo da Capalle.
Nell’ottobre 1345 gli stessi ufficiali che avevano venduto ai Servi di Maria come al maggiore offerente, alienarono un’altra parte del chiasso a fra Manzuolo di Benvenuto converso, sindaco e procuratore delle monache di San Domenico di Cafaggio. La loro parte era di estensione maggiore di quella dei Servi (3690 braccia quadre contro 3120); pure il prezzo era lievemente superiore: 40 fiorini d’oro.
Il chiasso confinava: a primo “via clausa que vocatur via Servorum sancte Marie” (ovvero la via sbarrata ora diventata interna al convento), a secondo il terreno delle monache di San Domenico, a terzo il “murus fratrum Servorum Sancte Marie”, e a quarto “de Spinis”, cioè la famiglia Spini sopra citata.
Il notaio rogatario fu sempre ser Andrea da Capalle che subito mise il chiasso in corporale possessione delle acquirenti tramite fra Manzuolo di Benvenuto.
Di certo per San Domenico ci fu a quel tempo anche una certa disponibilità di denaro da utilizzare per migliorare la propria posizione, se negli anni vicini all’acquisto del chiasso ne troviamo altri ricordati nelle pergamene del convento.
Nell’aprile 1346 infatti fra Manzuolo, “converso, sindico et familiari priorisse, sororum et monialium”, acquistò da Niccolosa pinzochera delle vestite dell’Ordine di San Francesco, figlia emancipata di Piero di Lapo Ughi del popolo di San Simone, con il consenso di Piero suo “mundualdo”, quattro quinti di un podere alle Docciole a Santa Maria a Bignola (San Casciano in Val di Pesa) per 396 fiorini d’oro.
Tra i testimoni all’atto vi furono fra Lamberto del fu Salimbene e frate Donato converso entrambi dell’ordine di San Domenico di Santa Maria Novella.
Nel 1348 – riportiamo il sunto dell’atto per non perdere le informazioni contenute e per comprendere un poco come la zona si presentasse allora e in che modo poi si trasformasse – gli Spini alienarono una quota dei beni che avevano tra i due conventi.
Nella fattispecie Spina e Geri fratelli e figli del fu Rubellato del fu Guccio vendettero a Bandino del fu Giuntino procuratore di Goro del fu Iacopo del fu Rosso degli Strozzi il loro quarto di un podere con case a Cafaggio nel popolo di Santa Reparata.
Confinava a primo e secondo via, a terzo in parte via e in parte i frati dei Servi e a quarto le suore di San Domenico.
Le altre quote del podere erano dei figli di Doffo, di Francesco di dom. Filippo e dei figli di Ianni di Spina.
La madre dei venditori, vedova di Rubellato, si chiamava Diana ed era figlia del fu Francesco di Guccio Ughi dei Monaldi.
Paola Ircani Menichini, 4 giugno 2022.
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